Tèssere un “dialogo ecologico"

Dopo le Costellazioni mi viene sempre voglia di scrivere. Sì perché la sensazione è quella di rimanere in quel nido, in quel nucleo di energia, il più possibile, per goderne di tutti i benefici. Il lavoro è duro, profondo, insperato, meraviglioso e prezioso. Le resistenze spingono, tirano, congelano. Ma non possono impedire alla verità di manifestarsi. Altra cosa è vedere. Quello ciascuno riesce a farlo a suo modo, coi propri tempi. Il compito principe di ciascuno di noi è quello di migliorare noi stessi. Le Costellazioni ce ne danno una grande opportunità. Come al solito sbaglio strada mille volte, pur sapendo per istinto benissimo quale è la meta. Arrivo comunque puntuale, per difetto innato. Ci conosciamo, in molti, e questo mi fa superare la prima avversione per questo edificio, così squadrato, anonimo, freddo. Ci abbracciamo, infatti, e il calore arriva subito. E Giuseppe ci accoglie sempre come un sacerdote, profeta in ogni patria. Ci sediamo in cerchio. Iniziamo la meditazione ed il tempo ci è subito alleato: si dissolve. Siamo un unico campo e non c’è altro fuori. Nient’altro che importi. Siamo meravigliosamente qui. E ora. E questa per me è la prima cosa magica. Poter vivere questo tempo sospeso, in cui ci prendiamo il lusso di prenderci cura di noi stessi... E indissolubilmente tramite, con, verso gli altri che sono lì con me. In questo cerchio d’anime. I concetti mi risuonano sempre più familiari, le dinamiche. Mi sento in empatia con le parole di Giuseppe, con quello che accade già dalla prima costellazione messa in scena. Ne sono partecipe con ogni cellula, ogni pensiero, ogni senso e sentimento. Ed è bello salutarci sapendo che ci sono altri due giorni intensi di lavoro insieme. Il giorno dopo c’è anche Antonio. Finalmente. Fino all’ultimo ho pensato che non sarebbe venuto, e ora sono contenta che ci sia. Che ci siamo insieme. Abbiamo già fatto questa esperienza, ma separatamente. Ora si va, mano alla mano. Le costellazioni si susseguono, sono lunghe, ci trascinano dentro, ci prosciugano, ci impastano come pane in mani sapienti. Sono rappresentante in quasi tutte. E questo mi fa bene. Mi aiuta a non perdere mai il contatto con questo livello di energia, con questi “movimenti dell’anima”, e mi tengono anche dentro e fuori dalla mia ansia personale, la percepisco da qualche parte vicina a me, ma non mi avvolge. Arriva la fine del secondo giorno. Antonio costella la sua famiglia: è rigido, inchiodato e io trattengo il respiro davanti alla sua grande fatica. Ci vuole un segreto perché tutto inizi pian piano a muoversi, a sciogliersi finalmente in un abbraccio anelato, che mi fa cadere un sacco pieno di sassi dalle spalle. Questa è la sensazione fisica che avverto. Non faccio in tempo a rendermi conto di questo che Giuseppe chiama me. Non inizio quasi a parlare che mi ferma: mette due sedie al centro del cerchio, con le spalliere vicine. Fa sedere me e Antonio. E’ questo di cui ho bisogno. Ora. Nella mia vita. Cerchiamo di tèssere un “dialogo ecologico”, in cui non ci sia spazio per accuse, ingiurie, ferite d’arma da fuoco. Si dice semplicemente come ci si sente. Si ascolta, molto. Ci prendiamo del tempo tutto nostro. E infine possiamo guardarci negli occhi e parlare in silenzio con tutte le lacrime che abbiamo. E poi un passo, e un altro. Siamo vicini. E ci diamo un bacio. In quel bacio c’è un’unione che scegliamo di nuovo, in cui ci va ancora di credere. Ci ripromettiamo di dedicarci questo ascolto. Un’ora. Tutta per noi. Per tornare ad affondare radici. Siamo fortunati, noi due. Ad essere così amati. Ripartiamo da qui...

autore: 
Silvia

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